Certe bandiere non possono essere ammainate. Nemmeno quando il vento contrario soffia forte, a tal punto da rischiare di strapparle, trascinarle via, cancellarle per sempre. Resistono, persino quando c’è aria di tempesta, figuriamoci di fronte alla mollezza di certe ricostruzioni lontanamente verosimili, che finiscono per scontrarsi con la durezza del reale. Nel momento in cui viene messa in dubbio la fedeltà di chi per certi colori ha dato tutto se stesso, allora è necessario intervenire, per obliare versioni non esattamente corrispondenti al vero ed evitare che in qualche modo possa essere riscritta la biografia sportiva di chi per quasi dodici anni i pali del Benevento li ha difesi come se la porta fosse stata sua figlia, di chi è diventato il giocatore con più presenze tra i professionisti nella storia del club sannita, il primo ad aver ottenuto quattro promozioni e l’unico in assoluto ad aver vinto due campionati e un play off in tre categorie differenti (Serie C2, Serie C1 e Serie B).
Il riferimento è a Ghigo Gori che in giallorosso ha marchiato un’epoca, dando valore a ogni singolo momento vissuto con la maglia della Strega. Un monumento intoccabile per tanti tifosi beneventani e che tale resta nonostante la sua figura sia stata per certi versi ridimensionata, magari involontariamente, dal presidente Vigorito. Nel corso della recente conferenza stampa, il suo nome è stato tirato fuori come paradigma di attaccamento alla maglia, ma la risposta del patron a chi ne auspicava il ritorno è stata sorprendente: “Gori è stato il primo acquisto che ho fatto – queste le parole del numero uno del club giallorosso – E’ andato via per qualche malinteso, ma poi lo abbiamo richiamato ed è tornato. Lo scorso anno, però, quando la barca stava affondando ha detto che aveva bisogno di prendersi un anno sabbatico, non sono stato io a dirgli di andar via. Mi servirebbero dieci persone come Gori, ma credo sia troppo tardi. Non porto rancore né faccio ritorsioni, ma se uno se ne va, se ne va… La porta la teniamo aperta solo per uscire, la chiave ce l’ho io”.
Parole che non hanno fatto piacere al diretto interessato, descritto come un capitano che abbandona la nave mentre la stessa pareva sul punto di inabissarsi da un momento all’altro, sotto lo tsunami della retrocessione in Serie C. Di passare come un novello Schettino o come un più nobile Lord Jim – protagonista dell’omonimo romanzo di Conrad – non ci sta. E allora decide di mettere i puntini sulle i, non per il gusto di fare polemica, ma semplicemente per ristabilire la verità: “Le parole di Vigorito sono state un fulmine a ciel sereno – ha rivelato Gori nel corso di una lunga intervista rilasciata a Il Sannio Quotidiano – Mi sono arrivati tantissimi messaggi e ho voluto riascoltarle per farmi un’idea. Ringrazierò sempre il presidente, ma non posso sorvolare sull’accusa di aver abbandonato la nave mentre affondava“. La sua scelta di lasciare il Benevento può sembrare un po’ naif, ma in realtà ha delle ragioni ben precise: “Come riferii direttamente al presidente, avevo la necessità di prendere le abilitazioni da allenatore dei portieri. Non sono andato via da Benevento perché stavamo retrocedendo: sarei stato un folle a rinunciare a un contratto di lavoro. L’anno successivo non è stato di vacanza, ma di formazione, appunto perché ho preso le necessarie abilitazioni e perché ho girovagato il Sud tra corsi da frequentare e allenamenti da vedere con l’obiettivo di formarmi”.
E’ chiaro che tutto questo non sarebbe stato possibile farlo, rimanendo vincolato al Benevento, dove tra l’altro la sua posizione non era inquadrata: “Non potevo rimanere senza avere un ruolo chiaro, perché volevo dare un contributo fattivo alla squadra. A malincuore, ho dovuto prendere questa decisione, con tutte le conseguenze del caso. Pensa che mio padre mi disse che avevo le palle: del resto, per inseguire i miei obiettivi accettavo il rischio di uscire dal giro del mondo del calcio, senza percepire alcuno stipendio”. Qualcun altro al suo posto non lo avrebbe fatto: “Io non volevo restare a Benevento per rubare soldi. Sono un animale da campo che cerca di insegnare un ruolo molto delicato come quello del portiere”.
L’inizio della fine della sua seconda vita in giallorosso è stata la squalifica, arrivata per aver svolto nella stagione sportiva 2021/2022 il ruolo di allenatore dei portieri senza essere tesserato: “Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per il mio errore (ossia aver svolto mansioni tecniche senza la necessaria abilitazione e senza aver ottenuto deroghe, ndr) avrei ricevuto una squalifica di tre mesi, cosa che non mi avrebbe impedito di partecipare ai corsi per l’abilitazione (a quelli federalmente riconosciuti possono prender parte solo candidati che non siano stati squalificati e che non abbiano patteggiato una squalifica per un periodo superiore a 90 giorni, ndr). Purtroppo, però, siccome qualcuno all’interno della società non ha saputo fare bene il proprio mestiere, la squalifica mi sarebbe stata triplicata ed è per evitare ciò che ho scelto la strada del patteggiamento (alla fine lo stop fu di 4 mesi e 15 giorni, ndr), ma prima di prendere l’abilitazione ho dovuto aspettare un anno e mezzo. Nonostante tutto, ho accettato le conseguenze e non ho mai alzato polveroni, per rispetto nei confronti del Benevento Calcio e del presidente Vigorito“.
Ora però non può rimanere in silenzio: “Ripeto, la mia fu una decisione molto sofferta. Io non sono un codardo, non ho abbandonato il Benevento perché stava retrocedendo, non avrei mai potuto tradire i beneventani. E’ stata una scelta praticamente forzata per me e per la mia famiglia, per continuare nel percorso che mi avrebbe portato a diventare allenatore dei portieri. Ci tengo a chiarirlo, perché io a Benevento voglio continuare a camminare a testa alta: ci ho sempre messo la faccia nei momenti belli e soprattutto in quelli meno belli, francamente mi dispiace se tutto questo possa mettere in discussione i miei 12 anni di esperienza in giallorosso”. Che gli ha segnato la vita, non solo calcistica, perché qui probabilmente si è tolto le soddisfazioni più grandi: “Mi sono sempre messo in gioco, riuscendo a realizzare quel desiderio che era diventato ossessione: portare il Benevento in Serie B. L’ho raggiunto ed è un traguardo che mi porterò dentro per sempre”.
Una promozione che ora la Strega sta provando a inseguire nuovamente. Anche da lontano, Gori continua a seguire con passione e partecipazione le sorti della formazione giallorossa: “E’ stato strano assistere a un crollo del genere per una squadra che era prima in classifica fino alla fine del girone d’andata. Purtroppo il calcio è questo, a volte le annate possono essere caratterizzate da alti e bassi, anche se la fase calante del Benevento sta durando troppo. Ciò non toglie che adesso ci sono i play off, inizia un altro campionato e secondo me ha tutte le carte in regola per giocarseli alla grandissima, anche perché l’allenatore è bravo, la squadra c’è e ha qualità. I giovani? Sono validi, di spessore: la società fa bene a puntare su di loro”. Giovani che sono anche nel presente e nel futuro di Gori: “Ho ricominciato tutto da zero, adesso sto allenando i portieri al Francavilla in Sinni, in Serie D. Sto vivendo un’esperienza bellissima, lavorare con i giovani è molto formativo. Un ritorno nel Sannio? Lo escludo e non ho questo obiettivo: non potrei mai desiderare di fare le scarpe a un professionista competente e preparato come Antonio Chiavelli“.